L’omofobia vista da uno psicologo LGBT+ friendly: discriminazioni non solo delle persone omosessuali

Ad essere vittime dello stigma e della discriminazione sono anche bisessuali, asessuali, intersessuali, e tutte le altre persone parte della comunità LGBT+. Non esistono solo omofobia, lesbofobia e transfobia. Troppo spesso si dimentica quanto la nostra società condanni e faccia sentire diversa ogni persona che non rientri nello standard eteronormativo. Per questo quando svolgo il mio lavoro di terapia pongo attenzione ai vissuti di malessere che possono essere differenti per i vari membri della comunità LGBT+.

Basti pensare alla bisessualità, spesso etichettata come inesistente o come una semplice fase prima di passare a eterosessualità o omosessualità. O ancora, la bisessualità pensata come predisposizione all’infedeltà e come incapacità ad impegnarsi in una relazione monogama. L’invalidazione del vissuto bisessuale è un esempio di bifobia, che viene messa in atto in questi e altri modi ed è tutt’oggi presente ed estremamente comune, non solo da parte delle persone eterosessuali. Si tratta di stereotipi e pregiudizi specifici che non possono che avere un impatto differente sulla persona. Una persona bisessuale rifiutata da persone LGBT+ fa dunque esperienza di un’esclusione che non viene vissuta da altri gruppi. Non sorprende dunque che, come alcuni miei pazienti bisessuali e pansessuali, molte persone appartenenti a questa comunità vivano in modo stressante il momento del coming out anche in contesti LGBT+, sentendosi spesso non viste e non accolte.

Altre componenti della comunità sono però altrettanto soggette a stigma nella nostra società. Che cos’è per esempio l’afobia? Il termine, poco noto, identifica la discriminazione nei confronti delle persone asessuali e aromantiche. Gli atteggiamenti di pregiudizio verso gli asessuali sono particolarmente deumanizzanti e derivano dalla credenza che ogni essere umano debba necessariamente provare attrazione sessuale e romantica. Per questo stesso motivo, molti non considerano l’asessualità un orientamento.  Gli asessuali vengono infantilizzati per il loro disinteresse in una dimensione vissuta da molti come assolutamente essenziale dell’età adulta. O, peggio ancora, vengono trattati da malati, visti come mancanti di qualcosa o come incapaci di provare amore e affetto. Proprio in virtù di pregiudizi come quest’ultimo, una persona asessuale potrebbe sentirsi a disagio nel condividere il suo orientamento col terapeuta, temendo di essere etichettata come malata e vedendo così una componente della sua identità ridotta a sintomo. Si tratta di un’esperienza che una persona LGBT+ che cerca supporto psicologico non dovrebbe mai essere costretta a fare.

Non solo discriminazioni verso gli orientamenti sessuali.

Abbiamo parlato di bisessualità e asessualità, ma questi non sono gli unici gruppi vittime dello stigma a rimanere invisibili. Ancora terribilmente comuni nel mondo sono, ad esempio, anche le discriminazioni nei confronti delle persone intersessuali. Sono infatti ancora moltissimi i paesi che, nel mondo, ancora svolgono operazioni correttive sui neonati intersessuali quando questi mostrano genitali ambigui. È così che a molte persone intersessuali viene tolto il diritto di autodeterminarsi per essere incasellate come maschio o femmina e cresciute secondo uno di questi due ruoli di genere. Un fatto grave e lesivo sia della loro dignità che della loro integrità fisica.

Come è comprensibile, un vissuto come questo non può che essere una fonte di dolore totalmente unica a questo gruppo, ed è necessario avere le conoscenze necessarie a potersi interfacciare col cliente che porta un’esperienza di questo tipo in terapia. È dunque indispensabile che sempre più terapeuti e professionisti della salute siano consapevoli e informati sulle difficoltà di tutte le minoranze appartenenti alla comunità LGBT+, perché queste si sentano sempre accolte e non giudicate.

Dott. Rosario Privitera
Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale specialista in tematiche LGBT+
rosarioprivitera.it

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