Succede a tutti di provarla almeno una volta nella vita, ma pochi la confessano. Perché è dolorosa per sé e pericolosa per gli altri. Ma può essere anche utile: ci avverte che abbiamo perso un confronto, dandoci la spinta a migliorare. A volte l’invidia non è soltanto verso una persona in particolare, ma diventa un’ invidia diffusa, verso tutti coloro a cui le cose vanno particolarmente bene, che sia in ambito lavorativo o affettivo o sportivo o altro.
L’invidia è un meccanismo che mettiamo in atto quando ci sentiamo sminuiti dal confronto con qualcuno, con quanto ha, con quanto è riuscito a fare, tanto velenoso quanto inconfessabile: è la stretta che si prova quando si esce perdenti da un confronto sociale. Si sperimenta quando un altro ha qualcosa che noi vorremmo: oggetti, posizione sociale, o qualità come la bellezza o il successo ( quello vero) nello sport. Può diventare uno stato di malessere e inadeguatezza duraturo, con malevolenza verso la persona invidiata.
In altri termini, l’invidia potrebbe essere spiegata come un tentativo alquanto maldestro di recuperare la fiducia, la stima in noi stessi svalutando l’altro. Si tratta quindi di un processo: c’è il confronto, l’impressione devastante di impoverimento, di impotenza e poi la reazione aggressiva. Per cercare di proteggere il nostro valore, svalutiamo il modello abbassandolo al nostro piano, invece che rinunciare alle nostre mete diventando indifferenti. Chi è invidioso, quindi, lancia tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile per il tuo successo e potrei anche farti del male.
È l’emozione negativa più rifiutata, perché ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo, considerato meschino». Dal punto di vista psicologico l’invidia è anche un modo di vivere gli altri, possiamo definirlo un tratto di personalità. Infatti l’invidioso non si limita ad osservare con occhio ostile il suo collega di lavoro, guarda con la stessa modalità anche il vicino di casa, chi ha condiviso uno sport, l’amico con cui va in vacanza, il fortunato che ha vinto la lotteria, etc. Potremmo addirittura tracciare un profilo di personalità del soggetto invidioso, ipotizzando un tratto duraturo e ripetitivo stabile di funzionamento.
I sintomi dell’invidia
Proviamo allora ad evidenziare alcuni sintomi della presenza dell’invidia quando padroneggia in qualche modo la personalità di un individuo e conferisce un carattere distintivo al suo modo di essere, di pensare, di comportarsi, etc.
La malignità
L’invidioso cerca di svalutare l’altro agli occhi del maggior numero possibile di persone, soprattutto di quelle che contano. Solitamente gli invidiosi entrano in azione quando il personaggio da svalutare non è presente, mettendo in moto le “chiacche dare cortile”, partendo talvolta da una semplice battuta o un gesto. Naturalmente una volta avviato il pettegolezzo, c’è sempre qualcuno che si associa, che vuole aggiungere la sua critica, producendo una reazione a catena fin a che la persona in oggetto non viene fatta letteralmente “a pezzi”, derisa, svalutata. L’invidia infatti spesso è caratterizzata dall’ostilità nascosta verso l’altro, dal desiderio di danneggiarlo – magari dietro le spalle con commenti denigratori – e di privarlo di ciò che lo rende… invidiabile. Tradizionalmente si teme proprio lo sguardo malevolo dell’invidioso: non a caso la parola latina invidia, rimasta uguale, ha la stessa radice di videre, vedere. Dante, nella Divina Commedia, mette gli invidiosi in purgatorio, con le palpebre cucite da fil di ferro: così sono chiusi gli occhi che invidiarono e gioirono dalla vista dei mali altrui.
Il vittimismo
L’invidia non si esprime solo attraverso l’aggressività, la svalutazione degli altri, ma anche in maniera opposta attraverso l’autocommiserazione, il lamento, il vittimismo. Solitamente infatti quando ascoltiamo una persona lamentarsi, descrivere i soprusi che ha subito, gli ostacoli che ha incontrato, tutte le disgrazie che le hanno impedito di raggiungere i suoi obiettivi, non pensiamo all’invidia. Anzi, partecipiamo alla sua sofferenza e la compatiamo per non aver potuto realizzare ciò che la vita le aveva promesso.
Un aspetto fondamentale è che l’invidioso non si identifica come un aggressore/provocatore quando denigra e svaluta, ma si percepisce come una vittima costretta a difendersi da coloro che ai suoi occhi ostentano le proprie doti o i propri averi o gli hanno arrecato chissà quale danno immaginario irreparabile, contro un destino crudele che li ha regalato solo ad altri il meglio. In alcuni casi è solo la presenza dell’altro a costituire essa stessa una provocazione per l’invidioso. L’invidia rende ciechi e disabilita la capacità di giudizio critico, di distinguere quindi la realtà oggettiva da quella soggettiva. Se le ascoltiamo con attenzione queste persone lamentose sono in realtà profondamente passive, stanno a guardare, non agiscono, restano sempre dove sono. Non affrontano la vita, non si buttano, non rischiano. Spesso vorrebbero che fossero gli altri a darsi da fare al posto loro, a risolvergli i problemi.
Il giudizio
L’invidioso, per opporsi all’ingiustizia universale attacca e svaluta chi è più fortunato, chi è più felice, chi è più forte, chi è più dotato. Nel nome della giustizia si tramuta in un demolitore di tutto ciò che emerge dalle infinite differenze individuali e dalle infinite circostanze della vita. In questo modo l’invidioso troverà sempre una zona buia dell’essere su cui scagliarsi, travestito da giudice e bramoso di vendetta.
Quale può essere la sua utilità?
L’invidia può essere benigna quando porta all’emulazione: in questo caso canalizza le energie per cercare di avere un bene o il riconoscimento che è stato dato agli altri. Insomma, è una spinta a metterci in moto: così facciamo appello alle nostre capacità per raggiungere un traguardo. Possono spingere all’emulazione i modelli di persone “invidiabili” (per esempio quelli proposti dalla società, come sportivi o personaggi dello spettacolo) per cui si prova ammirazione, desiderando di essere come loro. E ci sono in fondo casi in cui la competizione è legittima, come nello sport: chi arriva secondo potrà invidiare chi l’ha superato, ma si allenerà per superarlo alla gara successiva» dice la Dott.ssa D’Urso, docente di psicologia generale all’Università di Padova e autrice di Psicologia della gelosia e dell’invidia. Se l’invidia segnala uno svantaggio, impegnarsi per recuperare è la migliore strategia per non rodersi.
Per maggiori approfondimenti:
Focus: Come funziona l’invidia
Dott. Massimo Amabili
Psicologo e Psicoterapeuta Ascoli Piceno e Teramo