Vittime di tortura: psicoterapia ed aspetti socio-legali

La psicologia e la psichiatria hanno sicuramente un ruolo molto rilevante nel fornire una valutazione delle conseguenze psicologiche della tortura, descrivendo fin dagli anni Settanta le caratteristiche delle vittime di tali atti, differenziando i mezzi usati dai torturatori (tortura fisica e tortura “bianca”), e fornendo una classificazione dei disturbi di tale nuova tipologia di pazienti, al fine di individuare gli interventi psicoterapeutici più adeguati.

La tortura è una forma di violenza che aggredisce e distrugge le fondamenta psichiche della persona, generando confusione, shock, disgregazione e perdita di identità. Le vittime smarriscono l’orientamento rispetto alla storia personale e all’ordine del mondo. L’asse temporale subisce un’alterazione: alcuni pazienti riferiscono di non riuscire a datare gli eventi, mentre per altri diventa impossibile arrivare puntuali alle sedute di psicoterapia, il fatto che qualcuno li aspetti li pietrifica. Questo perchè le domande terapeutiche possono essere percepite come un interrogatorio, simile a quelli subiti per opera dei torturatori, generando la spiacevole sensazione di essere incalzati. Purtroppo va evidenziato che talvolta la tortura si avvale dell’assistenza di medici e psicologi, trasgressori dei loro codici deontologici. Tali aspetti possono inficiare gravemente la costruzione di un clima di fiducia con il terapeuta e compromettere il buon esito di ogni trattamento. Quando si tratta di vittime di violenza politica, essi possono avvertire un senso di isolamento all’interno della loro comunità, finanche tra amici e familiari. Riferiscono di sentire che la loro dignità è stata violata dalle forze di polizia, e sentono il bisogno di riprendersi la dignità e l’onore attraverso una riparazione collettiva che renda la loro verità privata una verità pubblica. E desiderano ottenere giustizia per le sofferenze patite, con sanzioni penali o civili che sono elemento basilare per il ripristino del loro benessere, che stabiliscano l’erroneità degli atti subiti. Tali vittime hanno bisogno anche di fare in modo che la verità venga assunta come parte della memoria sociale.

 

Per tali ragioni, per le vittime di tortura o violenza politica si parla spesso di “riparazione”. Acconto alla psicoterapia individuale servono azioni pubbliche per soddisfare i bisogni specifici sopracitati, creando una connessione con gli aspetti giuridici per la ricerca della verità. Si delinea così un intreccio di interventi clinici e sociali, una vera e propria forma di trattamento integrato delle vittime di tortura. Questa singolare sinergia tra approcci clinici e socio-legali può offrire importanti contributi per l’elaborazione della sofferenza. Dal punto di vista psicologico, sono noti e con prove di efficacia rilevanti, i contributi apportati dall’intervento E.M.D.R. (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari), un metodo sviluppato dalla psicologa statunitense Francine Shapiro negli anni Ottanta. Il modello si basa sull’assunto che il sistema nervoso immagazzina in modo disfunzionale le informazioni traumatiche che, se riattivate da fattori interni o esterni, possono causare disagio. La terapia consiste nel desensibilizzare tali informazioni con stimolazioni ritmiche bilaterali (movimenti oculari), attraverso un protocollo specifico e individualizzato da terapeuti specializzati.

Riferimenti bibliografici:

Becker D. (1995), “The deficiency of the concept of post traumatic stress disorder when dealing with victims of human rights violations”, Plenum, New York

Menegatto M., Zamperini A., “Curare le vittime di tortura”, Psicologia Contemporanea 253, 58-65 (2015)

Dott. Massimo Amabili
Psicologo e Psicoterapeuta Ascoli Piceno e Teram

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